L'analisi dell'Umidità
L’analisi dell’umidità è importante per determinare lo “stato di salute” dei laminati che compongono lo scafo di vetroresina, le sue strutture, la coperta e quanto altro realizzato in materiale composito. Questa analisi viene eseguita con particolare attenzione dell’opera viva delle nostre imbarcazioni, la parte immersa, ma spesso fornisce utili ed importanti riscontri anche sulle restanti parti della struttura di uno scafo. Essa viene svolta per mezzo di idonee apparecchiature (igrometri nautici) specificamente tarati e impostati per laminati di vetroresina (diversamente possono esserlo anche per il legno) attribuendo a vari livelli di profondità degli spessori, diverse letture e valutazioni, quindi per mezzo di sondaggi in più punti di indagine, una diagnosi finale dello stato di salute dell'intero scafo. Questo tipo di indagine assume una certa importanza, in quanto la presenza di forte umidità, costituisce un fattore determinante come vedremo, al verificarsi dei fenomeni osmotici o di altro tipo di degenerazione dei laminati. E’ evidente che il perito prima di esprimere il suo giudizio, e indicare se la situazione è critica o meno, terrà conto di diversi fattori, tra cui l’età della barca, in quanto, come spiegherò più avanti, questa influisce non poco sul grado di assorbimento dei laminati, aumentando per motivi di deterioramento del materiale, o per motivi legati al tipo di resine adoperate all'epoca della loro costruzione. Aspetto più preoccupante assumerebbero letture critiche dell’igrometro su scafi di imbarcazioni moderne realizzate con resine di maggiore qualità o con sistemi di stampaggio ad infusione sottovuoto, di cui faremo cenno più avanti.
Altre considerazioni da farsi sull’opera viva, in merito alla presenza di umidità, sono l'attenzione ed il controllo di aree delicate come ad esempio quelle adiacenti al bulbo di deriva nel caso di un’imbarcazione a vela, chiave di lettura di problematiche più complesse, oppure aree fisiologicamente più vulnerabili (adiacenze prese a mare, piastre di fissaggio dei cavalletti reggi-asse, pala del timone, tunnel del bow thruster, ecc) dove il perito grazie alla sua esperienza, valuterà all’occorrenza la situazione, consigliando eventuali interventi di bonifica, non necessariamente complessi, invasivi solo quando essi costituiscono motivo di preoccupazione per il perito. L'argomento è abbastanza complesso e va valutato in un contesto generale più ampio, che deve tenere in considerazione la sicurezza ed integrità delle strutture, in primis, strettamente connessa al fattore economico (uno scafo interessato da difetti di questo tipo, anche non necessariamente interessata da osmosi, potrà subire importanti deprezzamenti in termini di valore).
Parlando di umidità dei laminati, con particolare attenzione all’opera viva, si arriva a parlare di cosa accade quando questa umidità invade in maniera importante lo scafo, causando la famigerata osmosi, parola che mette terrore a tutti i diportisti, spesso in maniera impropria ed esagerata, poiché non è un cancro incurabile, bensì una situazione che conosciamo bene oramai, che si previene e si risolve nella maggior parte dei casi, ma cerchiamo di spiegare cosa è in realtà.

La parte immersa di un’imbarcazione in vetroresina, quella a diretto contatto con l’acqua di mare, è quella che può subire il processo osmotico, ossia quel processo attraverso il quale viene a crearsi la cosiddetta cella osmotica, una sorta di doppia camera piena di liquidi diversi, separata da una membrana rappresentata dalle resine che compongono il gelcoat e le vernici esterne, che solo teoricamente sono impermeabili, ma che in realtà possono far oltrepassare i liquidi di diversa densità, da una camera all’altra (nel caso delle imbarcazioni l’acqua di mare all’esterno ed i solventi residui o soluzioni diverse detti fluidi igroscopici, al loro interno).
Tale passaggio, fisicamente, avviene perché si stabilisce un equilibrio fisico in cui il liquido più forte, per cosi dire (più denso), attrae e ingloba, in sostanza, in sé il liquido meno forte (meno denso), creando l’equilibrio. I fluidi igroscopici presenti all’interno dei laminati, in questa maniera tendono così a generare dei soluti igroscopici, che tendono a liberarsi all’esterno, ed a promuovere un costante aumento del contenuto di umidità dello scafo sempre crescente, sino a che questa situazione non degenera nel fenomeno più critico dell’osmosi.

L’aumento di volume del liquido chimicamente creatosi, composto da acido acetico, e quindi la pressione di questo sulle membrane di laminato, con conseguente rigonfiamento dello stesso, forma le famose bolle (blistering). Prima che questo tipo di degenerazione arrivi ad uno stadio più critico, si può intervenire per rallentare il fenomeno, lasciando asciugare la barca in secca per un certo periodo di tempo, alcuni mesi all’anno, a seconda della situazione.

Ci sono barche che si trovano nella situazione di umidità, da tempo, e “campano” per così dire, in questa maniera, grazie all’asciugatura in secca, senza eseguire nel tempo un trattamento radicale antiosmosi, magari barche molto vecchie e di scarso valore, per le quali il proprietario non se la sente di affrontare la spesa. E’ evidente che però questo non allontanerà definitivamente il rischio dell’osmosi, in quanto la presenza di questi fluidi igroscopici non verrà eliminata del tutto, ma tamponata, e per porre rimedio definitivo, sarà necessario il trattamento radicale specifico, con sabbiatura (eliminazione del gelcoat o delle parti delaminate in fibra), lavaggio ciclico con acqua dolce, asciugatura (questa è sicuramente una fase delicata) applicazione dei vari cicli epossidici. Nella figura che segue possiamo capire come avviene normalmente un trattamento antiosmosi radicale.

E’ noto come queste resine a base epossidica, abbiamo preso campo nella gestione e soluzione dell’osmosi, ma bisogna tener conto di come vanno adoperate, e quale deve essere il criterio per il quale vengono applicate. Spesso mi capita di vedere trattamenti antiosmosi (cosiddetti preventivi) consigliati da qualche cantiere “bisognoso” oserei dire, che applica trattamenti su barche umide magari prive di blistering, dove il grado rilevato dall’igrometro rimane ben eccedente la soglia di tolleranza. In questi casi se lo scafo viene trattato con un rivestimento epossidico pensando di scongiurare che l’acqua entri, senza l’opportuna asciugatura interna dei laminati, è vero che rallenterà la velocità di ingresso dell’umidità, ma i suoi polimeri densamente reticolati impediranno anche la fuoriuscita dei soluti igroscopici generati dall’umidità elevata, il che significa che sarà ancora più probabile che si verifichino bolle, rispetto alla situazione evidenziata prima, in cui si decide di non fare alcun trattamento, quindi trattamento si , ma solo su scafi certamente asciutti!
E’ giusto osservare come nella maggior parte delle imbarcazioni moderne questo fenomeno è poco diffuso rispetto alle barche degli anni 80 e primi 90, come ho accennato prima. Gli yacht costruiti successivamente a queste annate, sino ai nostri giorni, con le moderne resine e gelcoat isoftaliche e vinilestere, e le stesse tecniche di stampaggio ad infusione sotto vuoto, hanno limitato il fenomeno osmotico rispetto alle resine ortoftaliche più vecchie, che tendevano ad assorbire e trattenere l’umidità. La differenza tra queste e le resine adoperate oggi, è rappresentata dalle strutture densamente reticolate come nei laminati epossidici e poliuretanici a bassa permeabilità all’umidità, mentre i polimeri “debolmente reticolati” come quelli utilizzati nelle vernici alchidiche, sono molto più permeabili e forniscono solo una protezione minima per gli scafi in vetroresina. Le resine moderne inoltre impregnano i tessuti di vetro, in quasi totale assenza di solventi, di gran lunga adoperati nelle vecchie resine poliestere ortoftaliche, e ciò avviene anche per mezzo delle nuove tecniche di stampaggio sottovuoto che perfezionano l’impregnamento, evitando per inoltre difetti di stampata come bolle d’aria e imperfezioni, ulteriore motivo di assorbimento dell’umidità nel tempo, e conseguente degenerazione dei laminati.
Lo strumento base adoperato nelle indagini igrometriche sull'opera viva di un'imbarcazione è rappresentato dall'igrometro. Esso è uno strumento di riferimento del perito, uno strumento prezioso per misurare quanta umidità è stata assorbita da uno scafo in vetroresina; ma come ogni strumento, anche gli igrometri hanno i loro limiti e non ci si può aspettare che forniscano letture infallibili in tutte le circostanze. Ogni igrometro inoltre va interpretato a seconda delle sue caratteristiche costruttive, e non darà mai la stessa lettura di altri strumenti simili. Oltre a queste considerazioni, si può affermare anche che non sempre esiste una correlazione diretta tra il contenuto di umidità rilevata in un determinato momento e le condizioni del laminato, quindi le letture non dovrebbero mai essere utilizzate per fare una diagnosi certa, assoluta ed immediata, almeno senza che il perito abbia note tante altre informazioni. Allora vi domanderete, a che serve un igrometro se non fornisce alcuna certezza?
Un igrometro può fornire una guida utile ad arrivare a comprendere la condizione dei laminati in vetroresina, ma vanno considerati diversi fattori ed elementi prima di comprenderla, le barche più vecchie ad esempio, costruite con resine ortoftaliche possono richiedere una serie di letture per un periodo molto lungo per poter avere una diagnosi attendibile, proprio perché queste resine ci mettono più tempo per asciugarsi. A questo proposito, è deducibile che l'ideale sarebbe poter dare più letture nel tempo per avere una sorta di andamento, di diagramma dimostrativo tra tempo di asciugatura, e andamento delle letture igrometriche sul laminato, deducendo che solo se le letture rimangono costantemente alte, avremo l'indicazione che il laminato abbia già iniziato la fase di criticità.
E' evidente che considerazione diversa sarebbe da fare se il tipo di resina di laminazione fosse isoftalica o vinilestere. In questi casi, l'umidità avrà meno possibilità di essere assorbita, quindi anche tempi di asciugatura saranno minori, essendo l'umidità trattenutasi solo nella fascia superficiale, quindi solitamente le letture possono dare risultati soddisfacenti anche in tempi minori di asciugatura. Spesso però il perito non avrà sempre la possibilità di eseguire letture nei tempi adeguati, e sarà là che dovrà affidarsi alla sua esperienza, per poter dare in tempi rapidi una diagnosi attendibile.
Oltre alle considerazioni sulle letture e sui tempi di asciugatura necessari per eseguirle, il perito dovrà avere inoltre cura di usare l'igrometro attenendosi a determinate accortezze, assicurarsi ad esempio che le superfici siano visibilmente asciutte, che si stiano effettuando misurazioni ad adeguate temperature, quindi non al di sotto di quelle che determinano il punto di rugiada, di controllare che le sentine oltre che ben ventilate, siano almeno asciutte.
I moderni igrometri determinano il contenuto di umidità applicando un segnale a radiofrequenza tra due elettrodi, che sono tenuti contro la superficie laminata. All'aumentare del contenuto di umidità, la capacità elettrica tra gli elettrodi aumenta e viene elaborata ed interpretata dallo strumento, per fornire un valore di umidità approssimativo. Tuttavia, la forma e la spaziatura di questi elettrodi ha un effetto significativo sui modelli di risposta di diversi tipi di misuratori di umidità, spesso risultando letture abbastanza diverse a volte contraddittorie, ecco perché a volte si preferisce usare più di un igrometro, a condizione di conoscerne le diverse caratteristiche.

